martedì 25 febbraio 2014

A sinistra del governo Renzi



di Alessandro Gilioli da L'Espresso

A sinistra del governo Renzi

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Ora che abbiamo questo governo pieno di ministri provenienti dall’ala dura di Confindustria, dalla Troika, dal Pdl, da Cl e dalla lobby delle spese militari.
E ora che Renzi ha stretto un’alleanza politica che esclude qualsiasi ipotesi di diritti civili (ce lo vedete, a fare le unioni gay dipendendo da Giovanardi?).
Ecco, ora forse la domanda da porsi è che cosa c’è e che cosa si può costruire di là: a sinistra di Renzi e del suo governo, dico.
Perché a sinistra di Renzi, tocca dirlo, finora ci sono stati soprattutto partitini autoreferenziali, più attenti alla perpetuazione della propria identità e delle proprie leadership che alla costruzione di un’area comune e seria di alternativa politica.
Partiti e partitini la cui eclissi è tuttavia sotto gli occhi di tutti: e non credo sia un caso che, per la prima volta, a queste europee nessuno di loro non solo presenterà il proprio simbolo, ma neppure candiderà suoi esponenti di rilievo nazionale (sto parlando, nel caso, di quel primo esperimento in corso chiamato lista Tsipras).
Ma – sempre di più, anche se pochi se ne accorgono – “a sinistra di Renzi” c’è molto altro. Molto altro rispetto a questi partitini ma anche rispetto alle associazioni che pure partecipano a questa nascente galassia (da quelle per l’acqua pubblica a quelle antimafia, da quelle per i diritti dei migranti a quelle ambientaliste).

C’è, prima di tutto, una fascia crescente di persone che pongono con urgenza la questione dei diritti sociali: in opposizione a quella forbice dei redditi e dei patrimoni che è aumentata in modo tanto violento negli ultimi trent’anni, portandoci al punto in cui siamo.
Un’opposizione che si declina nell’alterità totale rispetto alle ricette implementate finora dai vari governi – specie gli ultimi due, quelli appoggiati dal Pd – e che probabilmente trovano nel nuovo esecutivo una garanzia di ingentilita continuità.
C’è poi la questione dei diritti civili: dalle unioni gay all’orribile legge 40 che proprio in questi giorni compie dieci anni, dal biotestamento alla laicità dello Stato – e altro, molto altro ancora.
C’è insomma, banalmente, la sinistra: che non è un’etichetta, ma una proposta politica fondata su una cesura completa rispetto alle scelte politiche in materia di diritti sociali e civili di cui sono comuni portatori questi governi di intese larghe o larghette.
Una sinistra oggi diasporizzata – come elettorato – tra l’astensionismo, il M5S, pezzi di Pd e i partitini di cui sopra.
E che tuttavia esiste, altro che se esiste: nel paese reale molto di più che nella sua attuale rappresentanza politica.
Forse è questo a cui bisogna pensare oggi, se si crede alla possibilità di un cambiamento che sia sostanziale, di contenuto, anziché cosmetico e ageista.
Non a una “ricostruzione” ma proprio a una “costruzione”: perché non c’è niente da ricostruire ma tutto da costruire. Con pratiche, programmi, persone e leadership adatti al compito.
Che è sfida molto complicata, certo: ma tutt’altro che impossibile. E sarebbe pavida ignavia non affrontarla.

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