L'inchiesta Mafia Capitale e il marcio
che ha scoperchiato nell'amministrazione del Comune di Roma, con lo scioglimento per mafia non escluso nemmeno dal
Prefetto, rende possibili a breve nuove elezioni per la carica di
Sindaco della città. E comunque rende da subito necessario
cominciare a lavorare per costruire un'alternativa – nei metodi,
nella trasparenza, negli obiettivi – per il governo di Roma.
Per quanto Ignazio Marino non sia stato
direttamente coinvolto nell'inchiesta ed anzi possa atteggiarsi a
vittima della cricca fascio-mafiosa, la sua maggioranza esce
ulteriormente indebolita dalla vicenda. La tesi che la sua
amministrazione e che il PD abbia fatto argine al malaffare non
regge: risultano indagati esponenti del PD e tra questi Luca
Odevaine, già collaboratore della Melandri, di Veltroni, di
Zingaretti; la cooperativa "29 giugno" di Luca Buzzi, che aveva
contributo al finanziamento della campagna elettorale di Marino ed
aveva avvicinato un membro della sua segreteria, anche durante il 2013,
primo anno dell'amministrazione Marino, ha visto l'incremento delle commesse assegnate dal Comune.
Può darsi che Ignazio Marino sia un
San Francesco in mezzo ai lupi, può darsi che sia meno peggio degli
altri oppure può darsi che rappresenti interessi contrastanti
rispetto a quelli della banda di Carminati. E che la campagna di
denigrazione di cui è stato bersaglio negli scorsi mesi da parte
della stampa romana, con in prima fila i giornali di Caltagirone,
derivasse dall'aver pestato i piedi a qualcuno.
Vi sono però dei dati inoppugnabili:
l'ulteriore indebolimento politico e di immagine dell'amministrazione
Marino che sembra davvero avere i giorni contati e nessuna
possibilità di riguadagnare credibilità e prestigio; la
partecipazione sistemica di esponenti del PD al sistema della
corruzione e del malaffare (si guardi, solo per citare alcuni episodi oltre a quelli di Roma, agli scandali della Sanità in Puglia, della ricostruzione dell'Aquila, di Penati, del Mose di Venezia e dell'Expo, dei deputati Di Stefano e Genovese).
Il PD da un lato impedisce alle
amministrazioni locali di svolgere le funzioni - anche e soprattutto
sul piano sociale - a cui sono preposte, con l'imposizione delle
politiche di austerità subalterne all'ideologia liberista e
obbligando alla privatizzazione dei servizi pubblici ("Le città ingovernabili" come scrive Tonino Perna); dall'altro, con i suoi
esponenti e con le imprese amiche, partecipa alle pratiche del
malaffare fondate sull'appropriazione criminale delle residue risorse pubbliche
disponibili.
Questi dovrebbero essere motivi
sufficienti per abbandonare ogni volontà di collaborazione con
il PD anche a livello locale. L'appannamento dei Sindaci arancioni –
Pisapia, Doria, Zedda - dipende largamente, oltre che dalle
conseguenze dell'applicazione delle politiche di austerità,
dall'essere restati prigionieri di questo sistema perpetuando
pratiche di governo, inadeguate per i bisogni dei cittadini, fondate
sull'accettazione passiva delle compatibilità di bilancio imposte dagli Esecutivi nazionali, sulla rincorsa alle grandi opere e
ai grandi eventi quali uniche occasioni di sviluppo, sulla pratica degli
accordi (“le compensazioni”) con la speculazione edilizia. Un
discorso a parte meriterebbe invece De Magistris che, tra luci ed
ombre, amministra la città di Napoli senza e contro il PD.
Con la destra ridotta ai minimi
termini, con un PD in crisi di credibilità, si presenta dunque a
Roma la possibilità di eleggere un sindaco di Alternativa e di
svolta. Ed il doppio turno lascia aperta ogni soluzione (si veda al
riguardo proprio l'elezione di De Magistris).